Zalewski: "Ho lavorato dal primo giorno per rimanere"
Il nazionale polacco riscattato dall'Inter ha raccontato i suoi primi sei mesi in maglia nerazzurra

Nicola Zalewski è arrivato all'Inter a gennaio in prestito con diritto di riscatto. Riscatto che l'Inter ha esercitato per una cifra di poco superiore ai sei milioni di euro la settimana scorsa. Nella Primavera della Roma Zalewski giocava trequartista, poi con Mourinho si è trasformato in esterno a tutta fascia. La sua duttilità e il dribbling, oltre all'ottimo inserimento nel gruppo, hanno convinto l'Inter a confermarlo per le prossime stagioni.
Prima di parlare di questi suoi primi mesi all'Inter, intervistato dal Corriere della Sera, Zalewski ha commentato le due prestazioni di un altro giovane che si sta mettendo in mostra in questo Mondiale: Francesco Pio Esposito.
Queste le parole del nazionale polacco sul suo compagno di squadra:
"Tutti abbiamo visto le sue qualità allo Spezia e posso dire che ha anche tante qualità umane. Il consiglio è quello di non smettere mai di lavorare, perché arriveranno i momenti difficili. È successo a me e vale per tutti".
Lei è appena stato riscattato. A convincere l’Inter è stata la sua duttilità?
"Penso di sì. Il fatto di poter giocare in più ruoli e di aver segnato a Torino nella prima partita da trequartista, giocando bene anche a Como, è stato importante".
La scintilla però era scattata subito, nel derby poche ore dopo il suo sbarco a Milano, con l’assist per De Vrij.
"Appena ho messo piede ad Appiano, in me è scattato qualcosa di speciale, non solo a livello di campo, ma anche nel rapporto con le persone. Ho lavorato dal primo giorno per rimanere. E non lo considero un punto di arrivo".
L’esito della Champions vi farà puntare con più forza allo scudetto?
"La Champions resta una competizione dove vogliamo arrivare più avanti possibile, poi sappiamo che ci sono tante squadre forti. La sconfitta è stata pesante, però è stata già un po’ digerita: riprenderemo il nostro percorso".
Quello da trequartista per lei è un ritorno alle origini.
"Fino alla Primavera giocavo lì, ma in prima squadra cambia tutto, il ritmo e la fisicità. Negli ultimi tre anni sono stato impiegato da quinto di centrocampo e mi sono trovato molto bene anche lì. So che suona banale, ma gioco dove vuole l’allenatore".
Per lei destro o sinistro non fa grossa differenza: ci ha lavorato o è un dono?
"È una dote naturale".
Cosa l’ha colpita nell’impatto con Chivu?
"L’aspetto comunicativo, il rapporto umano che crea".
Tutti e due dovete qualcosa a Mou. Ne avete parlato?
"No, ma ci sarà occasione".
Lei ha detto che «la parola predestinato non mi va giù, perché sembra che tutto debba succedere per forza».
"La gente pensa che il talento basti per sfondare: trascura tutto il sacrificio quotidiano che c’è dietro".
È vero che suo padre, prima di diventare romanista grazie a lei, era interista?
"Sì, a Poli c’erano tanti interisti e quando è arrivato in Italia lo è diventato anche lui".