Sin dal primo giorno a Napoli Antonio Conte ha dimostrato di essere impermeabile alle cadute. Lo si può colpire, criticare, infilare nel labirinto delle frasi scomode di cui è maestro, ma puntualmente il tecnico risale in superficie e torna alla sua essenza: vincere. È così anche oggi, in un campionato che si è trasformato nel suo personale attico, un luogo in cui osserva tutto dall’alto e da cui è difficilissimo smuoverlo.
Dagli “orticelli” alla rinascita: Conte contro tutti, compreso se stesso
Ventuno giorni fa, nel pieno delle ecchimosi lasciate dal crollo contro il Bologna, Conte aveva affondato la lama: «Il Napoli non è una squadra», sentenziò, parlando di «orticelli» e giocatori ripiegati su se stessi. Parole che parevano una resa, forse una strategia, in realtà il ritorno alla sua natura: Conte combatte anche contro la sua stessa immagine, si ribella al cliché, si rimette in discussione per rimettere in riga gli altri.
La settimana di riflessione a Torino, poi, è stata decisiva. Dialoghi serrati con il gruppo, interpretazioni libere degli umori di spogliatoio e l’ennesimo campanello d’allarme arrivato dagli infortuni — prima Anguissa, poi De Bruyne, senza dimenticare Lukaku, Meret, Gilmour e Gutierrez.
A quel punto si è capito quanto fosse provvidenziale la campagna acquisti da 200 milioni, figlia della lucidità di De Laurentiis: senza quei rinforzi, il Napoli oggi sarebbe intrappolato in una crisi irreversibile.
La rivoluzione in tre mosse: difesa a tre, tridente puro, garra sudamericana
Quando tutto sembrava franare, Conte ha scelto di fare Conte. Difesa a tre, finalmente. Tridente puro con Neres e Lang alle spalle di Hojlund, e quella garra sudamericana innestata da chi sa cosa significhi lottare per ogni pallone.
Il risultato? Tre partite, tre vittorie: Atalanta, Qarabag, Roma. Sei gol segnati, zero subiti, atmosfera ripulita dai veleni e un vento nuovo che soffia su Castel Volturno. Più che un venticello, una tramontana che spinge verso l’alto.
Conte sa che l’emergenza non è finita e che il calendario, da qui a gennaio, sarà spietato. Ma questa squadra, a suo dire, «non è una morta da accompagnare». Anzi: è un gruppo che sembra aver ritrovato un orticello fertile per ricominciare a coltivare il sogno chiamato scudetto bis.
Ripetersi è la vera ossessione
Non lo ammetteranno mai, ma l’idea c’è: ripetersi, scrivere un altro pezzo di storia. E nel frattempo inseguire gli altri obiettivi di stagione — Champions, Coppa Italia, Supercoppa — che si intrecciano con un presente fatto di ambizioni e di ricostruzione continua.
Le prove degli ultimi giorni hanno confermato quanto già si era intuito nella prima parte del campionato: a scivoloni anche pesanti hanno fatto da contraltare notti luminose come la vittoria sull’Inter. E per restare agganciati al treno che conta, Conte ha un’unica soluzione: stare lassù, primo o secondo, sempre in apnea.