Erling Haaland si racconta come non aveva mai fatto prima. L’attaccante del Manchester City, simbolo del calcio moderno, si è aperto al programma The A-Team parlando non solo di ambizioni sportive, ma anche di emozioni, affetti e paure profonde. Un ritratto inedito del bomber norvegese, 25 anni, che in Premier League è ormai una macchina da gol ma che, fuori dal campo, mostra una sensibilità sorprendente.
Sul fronte calcistico Haaland ha un sogno chiaro: continuare a vincere con il City di Pep Guardiola e trascinare la Norvegia verso un grande torneo internazionale. “Vorrei vincere di nuovo la Champions col Manchester City e poi giocare il Mondiale o l’Europeo con la mia nazionale. Penso che sia arrivato il momento per noi di partecipare a un grande torneo e anche di provare a vincerlo, per le strade ci sarebbe grande festa”. L’Italia, inserita nello stesso girone di qualificazione per i Mondiali del 2026, è avvisata: la Norvegia ha ambizioni e un leader pronto a trascinarla.
Poi, però, Haaland sposta il discorso su un piano più intimo, rivelando la sua più grande paura. “Quella di morire, mi chiedo cosa succederà quando accadrà. Mi ritrovo sdraiato a letto prima di addormentarmi pensando: cosa succederà il giorno in cui morirò? Andrò in Paradiso o all’Inferno?”. Parole che colpiscono per la loro sincerità, un campione che ammette la propria fragilità e condivide i dubbi esistenziali che lo accompagnano.
Non è un caso: negli ultimi anni Haaland ha vissuto momenti duri anche lontano dal campo. “In poco tempo ho perso mio nonno e poi il mio agente (Mino Raiola, ndr). E l’anno scorso ho perso anche un caro amico, faccio ancora fatica a elaborare la cosa”. Dolori che hanno inevitabilmente segnato il percorso del norvegese, spingendolo a riflettere su ciò che davvero conta.
Dalla morte alla vita, la transizione è immediata quando Haaland parla del suo nuovo ruolo di padre. Lo scorso ottobre è nato il suo primo figlio, evento che ha cambiato le sue priorità. “Quando è nato prima ho giocato una partita e poi sono andato in ospedale, ho seguito tutto il parto. Sappiamo che i calciatori non possono essere sempre presenti per i figli, per esempio non penso che Guardiola sarebbe contento se saltassi una partita per il compleanno di mio figlio… ma so che, una volta che mi sarò ritirato, per lui ci sarò sempre e sarò presente a ogni sua festa. Le cose vanno così”.
Un campione che vive tra i gol e le emozioni, tra le luci dei grandi stadi e le ombre dei pensieri personali. L’Haaland che emerge da queste parole non è solo il cannoniere implacabile del City, ma un uomo di 25 anni che cerca di trovare un equilibrio tra successi sportivi e responsabilità familiari, ambizioni e paure. Forse è anche questo che lo rende, agli occhi dei tifosi, qualcosa di più di un semplice attaccante.