Nel nuovo corso rossonero guidato da Massimiliano Allegri, i cambi non sono soltanto una risorsa: sono parte integrante della strategia. A sorprendere, però, è il modo in cui l’allenatore livornese ha ribaltato la logica classica del calcio: i titolari, spesso, non sono quelli che iniziano la partita, ma quelli che la finiscono. La vera svolta, in molte occasioni, arriva proprio dai subentranti. Un paradosso solo apparente, se si conosce bene la filosofia del tecnico, sempre attento a gestire le energie, a leggere le sfide minuto dopo minuto, e a colpire quando l’avversario è più vulnerabile.
In quest’ottica va letta, ad esempio, la doppia panchina consecutiva di Christian Pulisic. Nessuna bocciatura, tutt’altro. Nella gara di Lecce l’americano veniva da un piccolo affaticamento muscolare accusato in settimana mentre in quella contro il Bologna arrivava dalla trasferta transoceanica con la nazionale statunitense. L’esterno americano rappresenta l’arma perfetta per cambiare ritmo nella ripresa: rapidità, dribbling secco, capacità di andare al tiro. Tutte qualità che, contro difese affaticate, possono diventare devastanti. Il Lecce ne sa qualcosa, e lo avrebbe saputo anche il Bologna se non fosse stato per l’errore evidente di Marcenaro.
E non è solo Pulisic a incarnare questo tipo di profilo. Anche Nkunku è un interprete ideale per questo Milan “a partita in corso”, in grado di incidere con gamba e qualità quando serve ribaltare l’inerzia. Per Allegri, che storicamente costruisce prima la solidità e poi cerca il colpo, il valore della panchina diventa quasi una filosofia. Prima non prenderle, poi colpire. Con calma, lucidità e un piano ben preciso.
Il gruppo costruito da Tare per il tecnico toscano rispecchia questa visione. Qualche punto debole c’è, come le alternative sugli esterni a tutta fascia o un difensore dal piede educato capace di saper impostare alla perfezione, ma la rosa offre una versatilità tattica che può cambiare pelle in base all’avversario o all’andamento della partita. A Bologna, ad esempio, si pensava di vedere Pulisic alle spalle di Gimenez, ma Allegri ha sorpreso tutti schierando Loftus-Cheek da sottopunta, nel 3-5-1-1 di partenza.
La base è chiara: difesa a tre. Tutto il resto è fluido. Il centrocampo può diventare a quattro, l’attacco può passare da due punte a un tridente, o assumere forme ibride con trequartisti mobili. Una soluzione che potrebbe vedere anche Leao agire da falso nove, oppure alle spalle di un centravanti fisico, affiancato da esterni rapidi. Si è spesso detto, negli ultimi anni, che Allegri muovesse poco tatticamente. Beh, al Milan ha e avrà di che divertirsi.
Al centro di tutto resta Modric, il regista imprescindibile. Attorno a lui, Rabiot come partner d’esperienza e Saelemaekers a garantire equilibrio. Ma tutto il resto è un cantiere in movimento, dove ogni partita può raccontare una storia diversa. E dove la profondità della rosa non è un lusso, ma una risorsa programmata. Allegri da sempre ama i cosiddetti “titolari nascosti”, quei giocatori pronti a entrare e cambiare la gara.
Per chi si chiede come troveranno spazio Leao, Nkunku, Ricci o – in futuro – Jashari, la risposta è semplice: quando conta davvero. Nella fase cruciale. Dove si decidono i punti e, forse, anche i trofei.