Quanta amarezza

La tristezza dell'ex CT Spalletti: "L'esonero? Mi toglie il sonno"

Luciano Spalletti in un'intervista sulle pagine di 'La Repubblica' è tornato sulle sensazioni post esonero da CT dell'Italia.

La tristezza dell'ex CT Spalletti: "L'esonero? Mi toglie il sonno"
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Il tempo passa, ma non guarisce ancora. Luciano Spalletti non è più il commissario tecnico dell’Italia, ma la Nazionale continua a vivere dentro di lui come un’ossessione. Lo dice con lucidità, ma anche con dolore, in un’intervista concessa a La Repubblica che fotografa lo stato emotivo di un uomo profondamente segnato dal burrascoso epilogo della sua avventura azzurra. L’eliminazione dagli Europei prima, la successiva sconfitta con la Norvegia che ha compromesso l’accesso al Mondiale del 2026 poi. Due colpi durissimi, che Spalletti non è ancora riuscito ad archiviare.

“Non mi passa mai. Mi toglie il sonno, mi condiziona in tutto, perché il pensiero torna sempre lì”, ha confidato il tecnico toscano, spiegando quanto il fallimento con l’Italia lo stia ancora logorando nel quotidiano. Non si tratta solo di una delusione sportiva, ma di una frattura emotiva, una ferita profonda che, per sua stessa ammissione, farà fatica a rimarginarsi: “Certe volte mi sembra di essere felice, poi però dopo un attimo mi torna in testa quella cosa lì. Non sono riuscito a far capire ai ragazzi che gli volevo bene”.

Il rimpianto più grande non riguarda tanto le scelte tattiche, quanto il non essere riuscito a trasmettere il proprio senso di appartenenza a un gruppo che avrebbe voluto più coeso. Spalletti riflette anche sugli errori commessi: “Il mio errore è stato, all’inizio, pigiare troppo su questo senso di appartenenza, di identità. Chiedere di cantare l’inno. Di fare un grido di battaglia prima di ogni allenamento. Volevo stimolare quell’orgoglio che provavo io, ma è stato troppo”.

Eppure, tornare indietro e rifiutare l’incarico non è un’opzione che contempla. “Non credo che accettare l'incarico sia stato un errore. Anche perché la Nazionale non chiede, la Nazionale chiama. Non si sceglie se accettare, non c’è una riflessione razionale da fare. Quando la Nazionale chiama, deve gonfiarsi il petto e devi metterti a piena disposizione... Ecco, forse questo è uno dei concetti che stiamo perdendo”.

Luciano Spalletti è apparso vulnerabile, ma non ha smesso di difendere chi ha condiviso con lui il percorso. E lo fa a testa alta, respingendo con decisione le accuse rivolte al calcio italiano e alla presunta assenza di talento tra le nuove generazioni. “No, l’ho detto anche a loro: non vi fate fregare da chi dice che siete scarsi: siete di alto livello. Anche se è finita così e la responsabilità è solo mia, non mi priverei mai di Bastoni, Barella, Dimarco: del mio gruppo storico, insomma”.

È un’analisi amara, ma sincera, quella dell’ex ct. Non cerca alibi, ma non rinnega le sue convinzioni. Sente di aver lasciato qualcosa di incompiuto, una missione interrotta troppo presto. “Dopo l’Europeo eravamo tornati a fare le cose giuste, ho pensato che avessimo trovato la via. Ma, come succede a volte nelle nostre campagne, tu scavi il solco per l’acqua, ma quella prende una strada sua. E scava, e scava e alla fine si crea una voragine”.

Ora, da fuori, Spalletti può solo osservare e riflettere. Ma è chiaro che quell’esperienza con la Nazionale lo ha cambiato. Forse in modo definitivo.