Moratti: "L'Inter è una dimensione di vita, vissuta da innamorato"
Lo storico presidente dell'Inter si racconta nel giorno del suo ottantesimo compleanno

In occasione dei suoi 80 anni, Massimo Moratti è stato intervistato dal canale ufficiale dell'Inter, raccontando il legame suo e della sua famiglia con il club nerazzurro.
L'Inter come più grande responsabilità.
"L'Inter è stata una cosa bellissima, avevo un senso di dovere verso questo club per tradizione, per il fatto che mio padre è stato presidente di successo. Ho provato felicità, tutti i giorni trattavo ciò che amavo: per me è stato un privilegio per cui ringrazio il cielo".
Lei è cresciuto con l'Inter.
"Andavamo a vedere le partite con mio padre, che si faceva anche le trasferte lontane. Sentivamo questa passione, tanto è vero che poi è diventato presidente nel 1955. Io ero in collegio in Svizzera per un mese e ricevetti una lettera da mia sorella che mi avvertiva della notizia. Pensai che fosse bellissimo. Mio papà era talmente straordinario che pensavamo potesse fare tutto, dal vincere il Giro d'Italia a vincere il premio Nobel. Per lui era normale".
Poi si regala l'Inter anche lei.
"Sì, un regalo a pagamento (ride, ndr). E' stato proprio il piacere di tornare a respirare quel tipo di ambiente, soprattutto la tensione e la passione mia e di chi mi circondava. Ho affrontato difficoltà, come mi aspettavo. Ma ripensandoci mi meraviglio di avere tenuto duro, pensando che poi alla fine qualcosa di buono sarebbe venuto fuori. Fortunatamente è successo".
L'acquisto di Ronaldo.
"Mi piaceva Ronaldo, c'è poco da fare. Era venuto una volta nel mio ufficio prima di diventare famoso, giocava in Olanda (al PSV, ndr). Non so perché era venuto a trovarmi, mi ha lasciato in dono una figurina che gli avevano fatto in Olanda. Ci fu questa occasione del Barcellona che per tutti sembrava impossibile, a me invece sembrava logica anche economicamente. Poi ero appena arrivato nel calcio e gli altri presidenti non pensavano potessi fare una cosa del genere. Presi in contropiede tutti, il che non ha fatto felice il mondo del calcio e gli altri presidenti che volevano comandare. Fu una cosa fuori dalle regole. Fu un sogno realizzato, lui veniva qui con altri giocatori formidabili che avevamo preso. Questa cosa ha rilanciato l'Inter nel mondo".
Il suo giocatore del cuore.
"Io devo rifarmi a mio padre, e dico Corso, in assoluto. Ci pensavo proprio ieri: i quattro giocatori che fanno la storia dell'Inter sono tutti particolari, parlo di Skoglund, Corso, Beccalossi e Recoba. Per me sono il sogno realizzato di una persona a cui piace il calcio. Poi sono affezionato anche umanamente a Corso. Ma in generale sono affezionato a tutti, si sono comportati tutti benissimo. Mi ricordo che una volta a Napoli, nello spogliatoio, mi hanno sdraiato per provarmi la pressione ed erano spaventati. Non avevo nulla, ma mi è rimasta in mente questa cosa. Voglio bene a tutti".
L'allenatore del cuore.
"Non posso dire altro che Mourinho, intelligente e di successo. Ha avuto fiducia in ciò che gli ho detto, è l'allenatore perfetto. Ero affezionato a Hodgson, un grandissimo signore, a Mancini e a Simoni, che non c'è più. Con quest'ultimo mi sono sentito un po' in colpa per ciò che successe. Era una persona dolcissima".
Se avesse avuto Inzaghi...
"Sarebbe stata un'ottima cosa. Poi vedo la sua pacatezza nelle interviste, non si dà un tono: bravissimo. Se tiene lo stesso atteggiamento anche coi giocatori, mi spiego perché sono così legati a lui. Mi diverte vedere giocare la sua squadra, per un fatto che non è 'la fantasia al potere' ma per il gioco. Sa approfittare delle debolezze dell'avversario, ma soprattutto impone la propria razionalità".
L'Inter è sempre stata abituata bene in fatto di attaccanti.
"Mi ricordo che all'epoca capitava che la panchina fosse più forte dei titolari. Forse esageravo ogni tanto, ma è sempre stata una particolarità del club avere un campione in attacco. Ora ne ha due, Thuram sinceramente è stata una mossa stupenda. Non ci si aspettava che facesse quello che ha fatto.Non lo conosco, ma è uno che trasmette felicità. E' una tradizione difficile da continuare".
Recoba e Adriano cosa potevano essere?
"Soprattutto mi dispiace per Adriano che si è rovinato con questa specie di esaurimento. Recoba era pigro, ma giocava così perché era pigro. Se avesse cambiato carattere, non sarebbe stato più lui. Era il più interessante tra i giocatori perché sapeva fare tutto, anche se decideva lui quando farlo".
La partita del cuore.
"Ce ne sono state un sacco. Mi ricordo la rimonta sulla Samp, quella del -2, con 3 gol in 2'. Recoba anche lì...".
Facchetti come simbolo dell'Inter.
"Era un atleta completo, a livello fisico e psicologico. Stava molto attento alla cura della mente e del corpo. Quando si ritirò veniva a giocare da me in campagna, anche con Rivera, e stava attento anche lì all'alimentazione. Facchetti era perfetto da quel punto di vista, poi quando è stato bravo anche come dirigente, era un uomo con principi sani".
Inter come stile di vita.
"Ci sono un sacco di libri sull'Inter, e continuano a uscirne. Tanti lettori importanti hanno scritto di Inter, che è una dimensione di vita. C'è qualcosa di diverso nell'Inter, anche i tifosi delle altre squadre le pensano così".
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Moratti è stato intervistato anche da 'Il Tirreno':
Cosa è stata l'Inter per Massimo Moratti e cosa è stato Massimo Moratti per l'Inter?
"Per me l'Inter è stata una scelta, prima di tutto. Non è una cosa che ti capita, un dovere. Grandissimo senso del dovere e rispetto, un piacere bellissimo. E' un amore che ho vissuto nel bene e nel male, da innamorato. Poi non so cosa sono stato io per l'Inter. Certamente ho cercato di fare quello che consideravo fosse giusto. Può darsi che abbia sbagliato parecchie cose".
"Mi piacerebbe che accanto a me ci fossero tre persone care che non ci sono più. A don Ermanno Pascotto, bravissimo insegnante al ginnasio Leone XIII di Milano che mi ha dato una solida formazione umanistica, a Gino Strada, il fondatore di Emergency, un mio amico perfetto, e al giurista Guido Rossi, ex presidente Consob e Telecom Italia, un uomo colto e divertente con cui era piacevole passare il tempo".
"Non sarò a Monaco - annuncia Moratti -, ma vedrò la partita sul divano di casa in compagnia di uno dei miei figli. Tifare Inter significa convivere col rischio infarto. Mi è capitato nella semifinale di ritorno contro il Barcellona che ha portato la squadra alla seconda finale in tre anni. Sono sincero: non solo credo che alzeremo la Coppa dalle Grandi Orecchie, ma possiamo ancora vincere lo scudetto. Per aver battuto il Bayern e i catalani, due formazioni stellari, ci meritiamo la Champions. Il calciatore simbolo di questa Inter? Nessun dubbio, Lautaro Martinez. È il capitano ideale. Si mette davanti alla squadra, soffrendo e stringendo i denti quando è necessario. Ma sono stati bravi tutti da Thuram ad Acerbi, che incarna l’autentica anima interista capace di non mollare neanche quando tutto sembra perduto".
Quanto a Inzaghi, "confesso che non lo conoscevo abbastanza e all’inizio non lo consideravo adatto all’Inter. Mi sono dovuto ricredere: è un allenatore completo. Tra gli allenatori che ho avuto per certi versi mi ricorda Gigi Simoni. Anche Inzaghi, come faceva Simoni, nelle dichiarazioni usa pacatezza e non si esalta. Un antidivo diametralmente opposto a Mourinho. Su Marotta non ho mai avuto dubbi: l’avevo cercato ai tempi in cui era direttore nella Sampdoria dell’amico Mantovani".
Tra gli amici che non ci sono più, anche Giacinto Facchetti e Peppino Prisco. "Giacinto era prima di tutto una persona perbene. Un atleta eccezionale e un uomo dotato di grande buon senso mantenendo la schiena dritta - dice ancora Moratti -. L’avvocato Peppino, dietro la sua ironia e l’innata simpatia, era un eroe di guerra e un principe del foro che nel suo lavoro aveva pochi avversari".
Intervenuto a Sky, Massimo Moratti ha toccato altri temi, partendo da un'immagine a cui è molto legato:
“Vienna con la mia famiglia quando abbiamo vinto la prima Coppa dei Campioni, che mi lega all’esperienza della mia famiglia e di mio papà nel mondo del calcio.
Non so se resisterà nel tempo, ma quello che più mi ha fatto piacere, per come lo vedevo giocare, è stato l’acquisto di Ronaldo. Poi un’altra cosa che spero resisterà a lungo è Inter Campus, rivolta ai bambini poveri, che è un’organizzazione che funziona benissimo.
Il sorriso di Ronaldo quando segnò col Milan contro l’Inter mi ha dato un po’ fastidio (ride, ndr), ma lui non si faceva tanti problemi per essere felice. Il suo pianto contro la Lazio ha significato che magari con una maggiore convinzione quel giorno avremmo vinto.
Moratti ha poi parlato di Champions League. “La Champions del 2010 è un pensiero allegro, è stato un momento di felicità per noi e per tutti i tifosi. Bisogna essere ben duri per non commuoversi a quel pensiero e credo di non essere l’unico che ci pensa ancora. La squadra di Inzaghi sta dando dimostrazione di un forte carattere, superiore a quello delle altre. Nel 2010, invece, non sono d’accordo con Cordoba: eravamo i più forti".
Moratti ha poi ricordato Jair, ex Inter scomparso recentemente: “Jair aveva un gioco molto particolare, con una velocità e una fantasia fantastica. Faceva l’ala che è un ruolo che oggi si vede poco". Poi, ancora sul triplete: “Il ricordo del 2010 è bellissimo sia di Madrid, che di Siena e della finale di Coppa Italia, ho ancora tanta riconoscenza".
Infine, ha concluso parlando della semifinale giocata tra Inter e Barcellona e sul presente dei nerazzurri: “Sono le emozioni che ti portano un ricordo costante e bellissimo, anche quelle negative, che sono segno di un momento di vita e di qualcosa che non dimenticherai. Le similitudini tra le semifinali della nazionale e dell’Inter ci sono, perché la semifinale è un trampolino in cui si vede se sei forte o no. Inzaghi è già nella galleria dei miti nerazzurri. È da un po’ di anni che è all’Inter e ha già conquistato titoli importanti, oltre a due finali di Champions. Ha già scritto una storia importante, è bravissimo. Andare a Monaco? Per il momento non è in programma, poi magari capiterà".