Dušan Vlahović ha una missione chiara: tornare a essere quel centravanti totale che la Juventus aveva immaginato di aver trovato quando lo strappò alla Fiorentina. Dopo mesi altalenanti e una squadra che a tratti ha faticato a dargli continuità, il serbo sta cercando di ritrovare certezze e ritmo. E i segnali, almeno guardando questo avvio di campionato, sono ancora contrastanti. In Serie A, fin qui, Vlahović ha collezionato dieci presenze e messo a segno tre gol. Non numeri straripanti, ma neppure da bocciatura, soprattutto se letti nel contesto di una Juventus che ancora non trova fluidità offensiva e costruisce meno occasioni pulite rispetto alle rivali dirette.
Il dato più interessante è quello relativo alla produzione offensiva personale: 23 tiri totali, 9 nello specchio, con una percentuale di precisione che sfiora il 40% e un non-penalty xG attorno al valore di 3. In pratica, Vlahović le occasioni per incidere se le crea, e anche le compagini che affrontano i bianconeri continuano a percepirlo come un pericolo costante. Il problema, semmai, riguarda la conversione: servono in media oltre sette tiri per ogni rete, un rapporto che racconta bene come il margine di crescita esista, e sia anche evidente.
C’è però un elemento psicologico che pesa quanto i numeri: la responsabilità. Il serbo è tornato a essere al centro del progetto tecnico, con l’aspettativa di trascinare la squadra nei momenti complicati. E in alcune partite si è visto: movimenti profondi, presenza fisica, capacità di aprire spazi e tenere alta la linea offensiva. In altre, invece, Vlahović è sembrato scollegarsi dal gioco, abbassando il baricentro del suo contributo e lasciando la sensazione di poter fare molto di più. Alternanza che, in una stagione in cui la Juve ha bisogno di leadership offensiva, fa la differenza.
La sensazione è che la strada sia quella giusta: quando riceve palloni puliti, quando viene servito in velocità e non solo spalle alla porta, il numero nove torna a sembrare il centravanti devastante che conosciamo. Resta però da fare l’ultimo salto, quello dell’efficacia, della concretezza feroce nei sedici metri. È lì che si decide il giudizio su un attaccante di questa caratura, ed è lì che Vlahović è chiamato a essere meno “potenziale” e più “sentenza”. Il campionato è ancora lungo e la stagione offre molteplici punti di svolta. Fin qui, il voto è sospeso: buone basi, momenti convincenti, altrettanti passaggi a vuoto. La Juventus crede in lui e le occasioni continueranno ad arrivare. Se il serbo saprà alzare la percentuale di realizzazione e trovare continuità mentale e fisica, allora questa annata potrebbe diventare quella della definitiva consacrazione. Perché il talento non è in discussione. E ora è il momento di trasformarlo, una volta per tutte, in dominanza.
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Alessandro Brachino