Le parole

De Laurentiis provoca: “In Nazionale massimo fino ai 23 anni”

Aurelio De Laurentiis ha parlato in occasione del 50° anniversario della National Italian American Foundation.

De Laurentiis provoca: “In Nazionale massimo fino ai 23 anni”

Dal cuore degli Stati Uniti arriva l’ennesima scossa di Aurelio De Laurentiis al sistema calcio. In occasione del 50° anniversario della National Italian American Foundation, il presidente del Napoli è tornato ad affrontare uno dei temi che da anni lo vede in prima linea: il rapporto, spesso squilibrato, tra i club e le nazionali. E come da copione, lo ha fatto a modo suo, con toni diretti, idee fuori dagli schemi e una provocazione destinata ad alimentare il dibattito.

“La UEFA deve cambiare. Secondo me è arrivato il momento. I vertici del calcio non vogliono cambiare per paura di perdere la loro poltrona sulla quale stanno seduti molto comodamente, ma sarebbe arrivato il momento di cambiare le regole del gioco e il format dei campionati”, ha dichiarato De Laurentiis da Washington. Una presa di posizione netta, che non si limita a invocare una revisione delle competizioni europee, ma si spinge a proporre un’idea destinata a far discutere: porre un limite d’età per l’attività in nazionale.

“Si gioca troppo, i calciatori alla fine non ce la faranno più a fare 50, 60 o 70 partite all’anno. Non hanno capito che per le nazionali servirebbe un ‘cap’: dopo i 23 anni non puoi più andare in nazionale, perché devi scoprire i nuovi. Se fai giocare chi ha 37, 35 e 30 anni e questi si infortunano, stai dando un calcio agli stinchi ai campionati locali. Non c’è rispetto per questi campionati e poi non c’è un sufficiente pagamento del prestito di un calciatore che 12 mesi all’anno prende lo stipendio da noi. Anche questo va regolamentato, ci danno un chip ma noi vorremmo un chip, un chop e un chap”.

Le parole del patron azzurro riflettono un pensiero consolidato: l’attuale assetto del calcio internazionale penalizza i club, costretti a cedere i propri tesserati per le pause dedicate alle selezioni nazionali, spesso in momenti delicati della stagione. De Laurentiis denuncia una disparità di trattamento, dove le società, che investono e pagano gli stipendi, si ritrovano senza tutele reali e con un ritorno economico marginale, se non nullo, in caso di infortuni.

La sua proposta di limitare la partecipazione alle nazionali fino ai 23 anni punta ad alimentare il ricambio generazionale e a proteggere l’integrità fisica degli atleti, riducendo il rischio di sovraccarichi e stop muscolari. Una provocazione, certo, ma con un obiettivo chiaro: mettere al centro le esigenze delle società, troppo spesso trascurate nei grandi tavoli decisionali.

In un contesto internazionale in cui il calendario è sempre più fitto, tra campionati, coppe europee, competizioni FIFA e appuntamenti con le nazionali, il messaggio di De Laurentiis è destinato a farsi sentire. Non è la prima volta che l’imprenditore romano lancia bordate contro l’establishment calcistico, e anche stavolta le sue parole arrivano come una scossa scomoda ma difficile da ignorare.

Che sia una riforma strutturale o l’avvio di un confronto più aperto tra club e federazioni, il tema posto da De Laurentiis resta centrale: chi tutela davvero le società? Chi paga per l’usura dei calciatori? E fino a che punto ha senso spingere un sistema ormai al limite? Le sue idee, come spesso accade, dividono. Ma costringono a riflettere. E forse, nel calcio europeo di oggi, è già qualcosa.