L’industria del calcio europeo cresce, ma non insieme. Mentre Aleksander Ceferin dal palco dell’Efc di Roma rivendica il coraggio e la visione dell’Uefa — «la Champions è straordinaria, anche le squadre più piccole si divertono» — fuori dalla retorica resta un sistema sempre più polarizzato. L’Europa calcistica è spaccata tra chi partecipa ai grandi banchetti e chi fatica a sopravvivere, tra club di “Serie A, B e C” non per categoria ma per bilancio.
Nell’immenso salone del Cavalieri, dove oggi si chiude la due giorni dell’Efc, si ritroveranno oltre 800 membri di un’organizzazione che nasceva per rappresentare tutti ma che, nei fatti, non riesce più a farlo. Le decisioni che contano si prendono altrove, mentre i club medio-piccoli continuano a inseguire un equilibrio competitivo che non esiste più.
Ceferin ha portato sul palco gli esempi di Brest e Bodo Glimt — simboli della “nuova Champions” — per dimostrare come il format introdotto l’anno scorso stia offrendo «più opportunità a tutti i club». Ma la realtà dice che i ricavi crescono in modo sproporzionato: la nuova joint venture UC3 con Relevent garantirà ricavi record per il ciclo 2027-2033, ma anche se aumenteranno i fondi di solidarietà, le differenze resteranno abissali.
In platea, Zlatan Ibrahimovic, oggi consulente del Milan, ha sintetizzato il paradosso: «La Champions è straordinaria, ma bisogna entrarci. Chi resta fuori è perduto».
A completare il quadro politico, il ritorno del Barcellona nell’ex Eca, dopo la fuga del 2021 e la parentesi Superlega. Con la Juventus già rientrata e il Real Madrid sempre più isolato, il nuovo equilibrio del calcio europeo parla chiaro: la “Champions per tutti” di Ceferin è una vetrina sempre più dorata. Ma per pochi.